Progetto “Frena il Bullo”: La prevenzione come primo passo per contrastare il cyberbullismo

L’incontro con la psicologa, psicoterapeuta e formatrice Giuseppina Filieri, nonché figura che si batte quotidianamente per frenare il fenomeno del bullismo e del cyberbullismo, ha indotto in me il desiderio di conoscere i lati “oscuri” di questi atti violenti, che molto spesso non ven-gono affrontati. Mi ha molto colpito la determinazione con la quale persegue, insieme al suo gruppo di lavoro, la “campagna” di prevenzione e “sensibilizzazione” su questo delicato tema. Forse non si riuscirà a debellare il fenomeno, ma si potrà riuscire a riconoscerne caratteristiche e modalità di azione, sapendo di avere degli strumenti operativi a disposizione.

Cosa l’ha spinta ad intraprendere questo percorso volto alla sensibilizzazione circa un tema così delicato al tempo d’oggi?

Il progetto è nato per volere del Presidente onorario della “Fondazione Asso.Safe” Mattia Mingardo, che l’ha fortemente voluto, poiché, come ha spesso detto, “piuttosto che sponsorizzare una squadra di calcio, preferisco che la Fondazione finanzi un tema sociale”. Ovviamente il progetto Frena il Bullo ha come tema il bullismo. E cosa centra il bullismo o il cyberbullismo con la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro? “La scuola è il tuo primo posto di lavoro, rendila sicura”. Questo è stato l’assunto di base dal quale è partito il presidente, ed è questa l’assonanza, forte, tra la scuola e il mondo del lavoro.

Con l’avvento dell’era telematica si è iniziato a parlare di cyberbullismo. Ritiene che gli strumenti informatici abbiano contribuito a rendere ancor più frequenti gli atti aggressivi?

Assolutamente sì. Gli strumenti informatici vengono molto spesso demonizzati, perché internet viene considerato come quel luogo, senza tempo né spazio, in cui, chiunque, può assumere identità, modi di essere e di agire diversi da quelli reali. La mancanza di un contatto “vis a vis” complica di molto, perché viene a mancare l’incipit essenziale affinchè si possa o meno strutturare un contatto relazionale reale. La vita dei ragazzi si gioca su due fronti: da un lato il mondo reale permeato di aggressività, dall’altro il mondo virtuale in cui tutto si può avverare. I ragazzi non fanno altro che strutturare le proprie identità e personalità fondendo le richieste dei due mondi, dando seguito, in tal modo, alla pseudo strutturazione dell’Essere. I personal devices (computers, smartphones, tablets), diventano quasi parti del corpo e divengono la nuova modalità per esprimere le proprie sensazioni e i propri sentimenti, con un investimento emotivo, apparentemente irrisorio, in quanto parliamo attraverso uno strumento.  Il fenomeno, o meglio la vision del bullismo, con l’evoluzione è un po’ cambiata, e se i tentativi di sopraffare e prevaricare le persone più deboli, un tempo venivano considerate degli scherzi o “cose da ragazzi”, oggi diventano dei veri e propri reati.

Quando qualche giorno fa ho parlato con la dirigente di un istituto secondario di primo grado, in cui si era verificato un atto di bullismo da parte di un ragazzino ai danni di un professore, non ho potuto far altro che rimanere basita dinanzi all’affermazione “ma guardi che i giornalisti hanno gonfiato l’accaduto”. Dopo un primo momento di irritazione e rabbia, mi sono fermata a riflettere e non ho potuto far altro che constatare che, a volte, siamo proprio noi adulti ad autorizzare i nostri ragazzi a utilizzare atteggiamenti aggressive, quali modalità elettive dei nostri comportamenti. Con il cyber, invece tutto si amplifica e gli attacchi non si fermano mai.

A differenza del bullismo che ha un momento preciso in cui si verifica (a scuola, sull’autobus, in palestra, ecc), un inizio e una fine e dei volti che la vittima riconosce, con il web non serve a nullo spegnere il telefono, perché nel cyber si viaggia alla velocità della luce, e gli attacchi continuano anche a nostra insaputa.  E allora nasce la vergogna e la paura diventa la nostra compagna di viaggio: “ho paura di volti che non vedo e di voci che non sento, ma che stanno devastando la mia vita”. E si comincia così a nascondersi, ad isolarsi, a cercare un luogo sicuro, sapendo che nessun posto mi metterà al riparo dall’ennesima cattiveria. L’isolamento sociale, nella migliore delle ipotesi, è inevitabile. 

Attraverso il web “senza frontiere”, che non ha quindi limiti spaziotemporali, il prevaricatore può prendere di mira ripetutamente la vittima ogni qualvolta essa si collega al mezzo elettronico. Questo fenomeno online ha degli effetti più immediati sulla vittima rispetto al bullismo tradizionale?

Sì, ha degli effetti più immediati perché il dilagare del web è molto più immediato, quindi, se con il bullismo si poteva avere una circoscrizione del luogo e conoscere il volto dei tre soggetti che partecipavano agli atti di bullismo (vittima, persecutore e spettatori), nel cyber tutto si amplifica poiché è possibile pubblicare un atto vessatorio nei confronti di una vittima e nel momento in cui lo si fa, la notizia giunge immediatamente a milioni di persone, molte delle quali neanche conoscono anche la vittima. In questo modo quindi la persona presa di mira si troverà di fronte al giudizio di una platea di spettatori, che molto spesso non conosce, che hanno condiviso un post o un video, facendolo diventare in pochissimi giorni, virale. Come, ad esempio, è accaduto alla Tiziana Cantone, la ragazza che è prima diventata “famosa per un video hard che ha inviato ad un gruppo ristretto di amici e che ha fatto il giro del mondo”, poi è balzata alle cronache, lasciando a bocca aperta il mondo del web, con il suo gesto estremo. Non riuscendo in alcun modo ad arginare il fenomeno della diffusione del video, non riuscendo a trovare un posto in cui non fosse riconosciuta, e, sentendo gravare, come un macigno, il peso della vergogna, del giudizio costante e della paura, ha pensato che l’unico modo per eliminare il problema fosse togliersi la vita.

Il progetto “Frena il Bullo” le sta permettendo, tramite incontri educativi nelle scuole medie superiori di secondo grado, di relazionarsi continuamente con studenti nel pieno dell’età adolescenziale. Le è mai capitato di ascoltare una testimonianza di uno studente vittima di cyberbullismo? Quali erano le sue paure e come e se è riuscito ad abbattere questo fenomeno offensivo?

Questo progetto mi ha consentito di vedere, molto spesso, grandi e molti gruppi di ragazzi. La diffidenza iniziale, ragionevole direi, sovente si trasformava in un crescendo di partecipazione emotiva che coinvolgeva un po’ tutti. Mi ricordo nello specifico di un gruppo di ragazzi, che frequentavano la prima superiore e quando ho raccontato gli effetti psicologici, invisibili e i danni indelebili che si tatuano nell’anima di una persona vittima di bullismo, nel riconoscimento del dolore, molte studentesse hanno cominciato ad esternare vissuti ed emozioni, tanto che alcune di loro non sono riuscite a trattenere le lacrime, altre son dovute uscire dall’aula, altre ancora supportate dai docenti e dalle amiche, hanno continuato ad assistere al mio intervento. E’ vero anche che dobbiamo considerare un fatto e cioè che non tutti i ragazzi riescono ad esternare ciò che provano, a chiedere un consiglio o un supporto.  Per questo, al fine di dare un senso agli strumenti informatici e per dare prova del fatto che possano essere utilizzarti quali strumenti di comunicazione positiva che, gli studenti che incontriamo, possono comunicare con i relatori che hanno conosciuto e incontrato tramite i social network.

Questo consente di abbassare notevolmente la timidezza, la paura di esporsi e la vergogna nell’atto di esternare i propri sentimenti.  E al di là di ciò che si possa pensare, non sono solo le vittime a scriverci, ma anche i “bulli”. Come spesso dico: “non è una diade i cui c’è uno forte e uno debole, un perdente ed un vincitore, ma ci sono due ragazzi che, ahimè, hanno in comune più di quanto si pensi: la sofferenza!”. Mi capita di sentire spesso: “ma qual è la cura?” Non c’è una cura perché non c’è malattia, ma soltanto la presa di coscienza che la solitudine non fa bene a nessuno. Quando mascheriamo un disagio o una sofferenza lo facciamo perché vogliamo mantenere di noi, l’immagine che abbiamo dato e che gli altri si aspettano di vedere. Mettersi dietro la cattedra e insegnare, dimenticando di ascoltare e valorizzare il rapporto umano è la grande pecca del nostro tempo.

A nulla valgono le punizioni se a monte sono mancate le regole, a nulla vale ergersi a maestri, quando siamo i primi a mettere le pezze.  Credo che sia fondamentale, prima di procedere nei nostri vacui monologhi, imparare anche a “metterci nei panni dell’altro” adulto o bambino che sia, e imparare a stare zitti, perché a volte far parlare l’altro è l’unico modo che ci insegna a relazionarci in maniera sana con il mondo circostante. 

Quali potrebbero essere le cause insite, che portano un ragazzo o una ragazza ad assumere atti violenti?

Diciamo che queste cause nascono in primis dal nucleo familiare, da una famiglia che molto spesso lascia il figlio nella solitudine. Il bambino, come l’adolescente, attraversa diverse fasi  di passaggio, cercando soltanto, con le modalità che conosce e che ha appreso ed emulato, un riconoscimento sociale. Il bambino o comunque l’essere umano in generale, vuole semplicemente essere Amato, Accudito e Ascoltato. Il genitore, in queste fasi delicate, dettate dal ciclo vitale, non può astenersi e dimenticare di assurgere al ruolo di educatore di cui, forse anche inconsapevolmente, si è fatto carico. Oggi ci troviamo ad assistere ad una strutturazione genitori – figli “malata”, perché sentirsi ed assumere il ruolo di amici, fa immancabilmente perdere l’autorità genitoriale, necessaria affinchè possa strutturarsi l’identità e la personalità dei ragazzi. E’ necessario fornire degli esempi validi e regolati. Questo non significa che mettiamo al riparo i ragazzi da eventuali pericoli o dall’assunzione di comportamenti scorretti, ma diamo loro la garanzia di contare su figure adulte di riferimento affidabili ed in grado di aiutarli.   Dalla famiglia si passa alla scuola e dalla scuola al gruppo dei pari: vedere che c’è un’adesione comportamentale aggressiva che permea ogni luogo che i ragazzi frequentano, li autorizza a pensare che quelle siano modalità comportamentali corrette, per il semplice fatto che “così fan tutti”.

In che modo crede la società e le istituzioni, soprattutto, possano aiutare le vittime del bullismo a superare i danni psicologici ed ad infondere in loro maggiore autostima?

Quando parliamo di istituzioni, inserisco all’interno di questo grande gruppo, inevitabilmente, anche la scuola. Sento spesso dire che “La scuola è l’agenzia educativa che forma i professionisti di d domani”. Agenzia educativa! A me quest’affermazione fa accapponare la pelle. La scuola quindi è diventata il luogo in cui si vende e si compra l’educazione! Remerò controcorrente, sarò vetusta, ma per me la scuola era, è e sarà la Scuola, quale luogo in cui si intrecciano educazione e formazione. La società in cui viviamo è diventata sempre più esigente, essendosi aperta al mercato mondiale, e le richieste che ci arrivano sono di qualificazioni e di competenze sempre più strutturate.

Senza negare l’evidenza, non possiamo però, prescindere dal fatto che il ruolo assunto dall’insegnante, non deve aderire solo al programma curricolare, ma deve inscindibilmente tenere conto della unicità e totalità di ciascun allievo, al quale vengono attribuite le prime “etichette” sin dalla più tenera età.  Abituiamo i nostri piccoli a fare categorizzazioni, classificazioni, includere l’uno o l’altro sulla base di stereotipi che abbiamo, per forza di cose, interiorizzato. Sembra che il compito degli educatori sia fornire una corazza con la quale non mostrarsi agli altri e con la quale difendersi, piuttosto che fornire degli strumenti da poter utilizzare al fine di strutturarsi e strutturare la realtà.  Noi, come Fondazione, abbiamo cercato di fare sana prevenzione, il che aiuta sia i ragazzi a fare una riflessione sui loro atteggiamenti e modalità di rapportarsi con gli altri, ma anche gli adulti, affinchè possano prendere coscienza che il loro è un ruolo non solo formativo, ma anche educativo. Aprire uno spazio attentivo che miri al raggiungimento di questi obiettivi è compito di tutti coloro che sono chiamati ad accompagnare nel percorso di crescita le nuove generazioni, ma anche di tutte le istituzioni che le regolamentano.

Anche il cyberbullismo, come il bullismo, in alcuni casi può costituire violazione del Codice civile e penale e secondo il D.Lgs 196 del 2003 anche del Codice della Privacy. In che modo la giustizia italiana si è mossa per frenare questo fenomeno così presente?

Finalmente è stata varata la legge a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo, n. 71 del 2017, nata dalla battaglia della senatrice Elena Ferrara, prima firmataria della legge, con il padre di Carolina Picchio, prima vittima acclarata di cyberbullismo.

Se vivevamo quindi in un periodo di vuoto normativo, con questa legge le sanzioni sono pesanti e si viene a ricordare quanto i reati compiuti sul web andranno ad influire su quella che sarà la vita di un ragazzo in divenire.

Da questo punto di vista le legge si è mossa, e va benissimo che esista una norma che regolamenti comportamenti devianti, o che si concretizzano in atti lesivi ai danni di qualcun’altro. E’ altrettanto vero, però, e io ne sono convinta, che sarebbe opportuno rendere consapevoli i ragazzi di quali sono gli esiti dei loro agiti e i comportamenti. Ma questo possono farlo solo gli adulti.

Lo sportello di ascolto psicologico, presente nella maggior parte delle scuole italiane, riveste un ruolo importante nell’accompagnare gli studenti nell’affrontare preoccupazioni e problematiche, che si presentano nell’età adolescenziale, accogliendo tutte le richieste tipiche della fascia evolutiva in questione. In che modo questo incontro può aiutare l’adolescente ad esternare i propri timori e ad acquisire maggior amor proprio?

Non lo può fare.. Gli sportelli di ascolto sono un’utile supporto solo se i ragazzi riescono ad acquisire piena fiducia nel professionista, in questo caso lo psicologo. Se è vero che il bullismo porta la vittima a non parlare e/o isolarsi per paura di aumentare i soprusi, allora mi vien da pensare che affidarsi e fidarsi di qualcuno diventa quasi impossibile. Gli sportelli di ascolto, a volte, sembrano quasi un palliativo, da parte della Scuola, per dire: “ho fatto qualcosa”. Che rappresentino dei validi strumenti è innegabile, ma il loro uso dovrebbe essere contestualizzato, affinché si possa far comprendere ai ragazzi la valenza positiva che possono avere.  A mio avviso sarebbe utile, per questo specifico fenomeno, capire che non si tratta di una interazione di uno a uno, ma di un complesso di comportamenti e vissuti che, con un immediato effetto “onda d’urto” coinvolgono tutto il gruppo classe. Le riflessioni da fare e le decisioni da prendere sarebbero altre. Le cure le lascerei ai medici. Perché questa non è una “influenza di stagione”, ma “un’epidemia dell’anima”

Durante il percorso adolescenziale, considerato una fase di crescita caratterizzata da importanti cambiamenti fisici, psicologici e relazionali, che ruolo riveste la figura genitoriale? Come il genitore può captare un disturbo e un’insofferenza nel figlio, vittima di bullismo, causati dall’isolamento sociale?

Io su questo tema ho fatto un ragionamento e sono arrivata alla conclusione di non essere nata adulta e prima di andare dai ragazzi, mi sono messa nei loro panni, cercando di ricordare come a quell’età mi sentivo io. Per questo, quando mi avvicino al loro mondo lo faccio con ossequioso rispetto e chiedendo sempre permesso. Permesso, per favore, grazie, sono paroline magiche che abbiamo ormai messo in cantina. Che la vita di ciascuno sia fatta di mutamenti, di momenti di passaggio, alcuni meravigliosi e altri in cui vorresti sprofondare è un fatto innegabile, e per affrontarli non abbiamo un manuale, anche se molti professionisti ci danno la ricetta su come riconoscere comportamenti difficili e su come fare.

Non siamo macchine e il libretto di istruzioni lo lascerei per altro. A volte mi chiedono “dottoressa come devo fare?”. Io rispondo che non lo so, ma che posso accompagnare ciascuno nel percorso per scoprirlo. Gli adolescenti cercano di dimostrare e lo fanno a colpi di sciabola, mettendo in campo tutto il loro essere, cercando di districarsi da quell’intricato groviglio.  E perché allora, se anche noi siamo stati adolescenti, ci ritroviamo ad essere genitori sordi, di fronte ai nostri figli? E si, mio figlio è forte, ma come me, usa le emoticons per esprimere i suoi sentimenti. Il suo stato d’animo lo affida ad un post su facebook, che mi chiede a cosa sto pensando. E io lo chiedo a mio figlio? Gli chiedo cosa prova, a cosa sta pensando o banalmente com’è andata la sua giornata? Non lo faccio perché penso che, chiuso nella sua camera, studi, si concentri, si realizzi. e invece, la porta della sua camera è chiusa a chiave e segna, ancor più, un limite invalicabile tra il tu e l’io, facendo diventare remoto l’essere noi. Pensare ad un rapporto genitori figli senza liti è fantascientifico, è altrettanto fantascientifico, per me, vedere genitori che rimangono inermi davanti ai silenzi dei loro figli. Quei silenzi sono carichi di cose da dire, che ci urlano tutti i giorni sofferenza e disagio: imparare ad ascoltarlo è un nostro dovere. Prima di tutto cominciamo da lì.

Nelle vesti di Vicepresidente della “Fondazione Asso.Safe”, maggiore finanziatore del progetto “Frena il Bullo”, nonché volto principale del progetto, quali sono gli obiettivi che si prefigge raggiunga questa iniziativa?

Tengo a precisare che i volti di questo progetto sono tantissimi. Insieme a me, il mio gruppo di lavoro, instancabile, ma, i Volti, sono tutti quei ragazzi per cui è nato Frena il Bullo. Sono proprio quei volti che ci costringono ad andare avanti, con loro e per loro. Gli obiettivi son tanti, tantissimi. Io dico sempre una cosa, e cioè che finchè avrò terreni da coltivare, andrò avanti, poiché se anche nascono poche piantine, da ciò che ho seminato, allora avrò raggiunto in parte il mio obiettivo, il resto lo faranno loro. Avere una marea di consensi che poi si concretizzano in “nulla”, non mi interessa.

Riusciamo a cambiare solo nel momento in cui riusciamo ad abitare il luogo in cui viviamo: sentirsi ed essere parte di sé stessi è il primo passo per sentirsi ed essere parte del mondo.

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